Pubblicato il 05/10/2021
N. 06234/2021 REG.PROV.COLL.
N. 02631/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2631 del 2016, proposto da International Security Service S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Abbamonte in Napoli, viale Gramsci, 16 e PEC come da Registri Giustizia;
contro
U.T.G. - Prefettura di Napoli, Ministero dell'Interno, con il patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;
per l’annullamento:
a - del decreto prot. n. 23777/16/I Area 1 quater/OSP del 17.02.2016, notificato in data 22.03.2016, con il quale il Prefetto di Napoli ha respinto l'istanza per il rilascio di autorizzazione all'esercizio di attività di vigilanza privata, ex art. 134 TULPS, in favore della Società I.S.S. s.p.a.;
b - ove occorra, della nota della Prefettura di Napoli (prot. n. 4575) in data 20.03.2015 di comunicazione dei motivi ostativi, ai sensi dell'art. 10 bis L. 241/90;
c - ove e per quanta occorra, delle informative degli organi di P.S. presupposte al diniego ed in particolare: cl - della nota della Questura di Napoli prot. n. 1170 del 18.9.2014; c2 - della nota della Prefettura di Napoli prot. n. 23636 del 24.02.2015; c3 - dell'attestazione dell'Agenzia delle Entrate - Anagrafe Tributaria del 19.3.2015;
d - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2021, tenuta da remoto con modalità Microsoft Teams ai sensi dell’art. 87, comma 4-bis c.p.a., aggiunto dall’art. 17, comma 7, lett. a), D.L. 9 giugno 2021, n.80, conv. in L. 6 agosto 2021, n.113, e del Decreto P.d.C.S. del 28 luglio 2021, il dott. Fabio Di Lorenzo, e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. La società in epigrafe ha impugnato il decreto prot. n. 23777/16A/Area1quater/OSP del 17.02.2016, notificato in data 22.03.2016, con il quale il Prefetto di Napoli ha respinto l’istanza per il rilascio di autorizzazione all’esercizio di attività di vigilanza privata, ex art. 134 TULPS, in favore di essa società.
Il provvedimento gravato ha denegato l’autorizzazione per la carenza dei requisiti professionali in capo al legale rappresentante della società e per l’inaffidabilità economica della società derivante dalla esposizione debitoria con il Fisco.
L’amministrazione si è costituita per resistere al ricorso.
All’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione del ricorso e tenuta da remoto a termini delle vigenti disposizioni regolanti le udienze di smaltimento dell’arretrato, il Collegio ha riservato la decisione.
2. Con il primo motivo, parte ricorrente ha lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato nel punto in cui ha ritenuto insussistente il requisito della professionalità.
Sul punto, occorre richiamare il D.M. 269/10 che definisce i requisiti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza private. In particolare, l’Allegato B del D.M. 269/2010 prevede i requisiti professionali minimi:
«1. Il titolare della licenza, l'institore, il direttore tecnico di un istituto di vigilanza privata devono essere in possesso dei seguenti requisiti professionali:
* diploma di scuola media superiore;
* aver ricoperto documentate funzioni direttive nell’ambito di istituti di vigilanza privata, con alle dipendenze almeno venti guardie giurate, per un periodo di almeno tre anni, o delle Forze dell'ordine, con esperienza documentata nel settore della sicurezza privata, per un periodo di almeno cinque anni ed avere lasciato il servizio, senza demerito, da non meno di un anno e non più di quattro anni;
* ovvero aver conseguito master di livello universitario in materia di sicurezza privata che prevedano stage operativi presso istituti di vigilanza privata (…).
2. Il diploma di scuola media superiore non è richiesto ai soggetti che alla data di entrata in vigore del presente Regolamento risultino titolari di licenza da almeno cinque anni; per le sole funzioni di direttore tecnico e/o institore è richiesta un'esperienza di almeno diciotto mesi nella funzione».
Quindi, tra i requisiti alternativi, vi è anche un «master di livello universitario in materia di sicurezza privata che prevedano stage operativi presso istituti di vigilanza privata». Sul punto, non è contestato, e non è rilevato neppure nel provvedimento di diniego, che il termine “master” sia usato in nome improprio nella norma in esame. Opportunamente parte ricorrente ha richiamato il chiarimento reso dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, su interpello dell’ASS.I.V (Associazione Italiana Vigilanza), secondo cui “con il termine Master utilizzato dal D.M. 269/2010 (ALL.B) non si fa, evidentemente, riferimento a corsi a cui possono accedere solo i soggetti già in possesso del diploma di laurea, considerato che il titolo di studio previsto per i titolari di istituto di vigilanza è il diploma di scuola media superiore. La disposizione in parola si riferisce, quindi, a corsi di livello universitario – cioè organizzati direttamente o con la collaborazione di atenei riconosciuti – che abbiano ad oggetto la sicurezza privata e che prevedano stage operativi presso istituti di vigilanza privata” (cfr. nota di chiarimenti del Ministero dell’Interno all’interpello n. 145/2011). Ciò premesso, parte ricorrente ha documentato il superamento di un corso di livello universitario organizzato dall’Università Federico II di Napoli, in materia di sicurezza privata (intestato come Attestato Security Manager); espressamente tale attestato specifica che il titolo è emesso ai sensi del DM 269/2010, e indica la durata complessiva di 90 ore e il superamento con esito positivo.
Alla luce di tale documentazione, emerge che il corso è organizzato da una Università pubblica, è durato 90 ore, è idoneo in base al DM 269/10, ed è stato superato positivamente. Sussistono tutti i requisiti previsti dalla citata disposizione del DM 269/10 in ordine al requisito di professionalità. Viceversa, a fronte di tale completezza documentale, è del tutto indimostrata l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui il percorso formativo non avrebbe incluso stages; infatti il Collegio rileva che l’attestato riporta la precisazione che il corso è stato svolto “in ottemperanza al DM 269/10”, e indica la durata di 90 ore nelle quali ben potrebbero essere incluse le ore di stages, come si desume dall’espresso richiamo dell’attestato al DM 269/10, e, in caso di dubbio, l’Amministrazione avrebbe dovuto espletare ulteriore istruttoria piuttosto che denegare tout court il titolo su un profilo non adeguatamente approfondito.
Quindi è fondato il ricorso con riferimento al requisito della professionalità senza che occorra esaminare il secondo motivo che, in via subordinata, prospetta che la contestata professionalità avrebbe dovuto comunque desumersi dal pregresso esercizio dell’attività.
3. Il provvedimento impugnato, nondimeno, fonda il diniego anche su un ulteriore profilo, relativo alla carente affidabilità economica della società istante.
Sul punto, il DM 269/10, All. A, punto 6.3, prevede che la società che richiede l’autorizzazione per l’esercizio della vigilanza privata deve «avere, nel caso di debiti tributari accertati le disponibilità finanziarie occorrenti, ad integrazione di quanto previsto al punto 6.1, per far fronte agli stessi.
Il possesso dei requisiti sopra indicati è accertato dalla certificazione di qualità rilasciata da uno dei centri di certificazione indipendente previsti dall'articolo 260-ter del Regolamento di esecuzione del TULPS, ovvero, fino a quando detti organismi non siano operanti, può essere dimostrato in ogni altro modo, anche a mezzo di idonee referenze bancarie o assicurative, ferma restando la facoltà del Prefetto di disporre mirati accertamenti».
Nel caso in esame, la società ha una grave esposizione debitoria nei confronti del Fisco, sia per il carattere risalente del debito (elemento da cui si deduce la perdurante incapacità di pagamento), che parte dalla annualità 2007 e arriva fino all’annualità 2010, sia per l’ingente importo pari a € 2.568.757.
Vero è che in base alla citata disposizione del DM 269/10 l’esposizione debitoria verso il Fisco non comporta un automatico effetto preclusivo e che parte ricorrente ha prodotto due referenze bancarie, rispettivamente, della Banca Popolare Vesuviana del 8.04.2015, e dell’Istituto Finanziario IFIR del 10.04.2015. Tuttavia, la norma in esame prevede che, a fronte di eventuali referenze bancarie, resta impregiudicato il potere del Prefetto di disporre idonei accertamenti. Nel caso in esame la Prefettura ha in effetti svolto tali idonei accertamenti, avendo richiamato la Nota Agenzia entrate del 19 marzo 2015 sull’esposizione debitoria della società, nonché il Rapporto della G.d.F. del 9.9.2015, ed ancora la scheda estratta dall’anagrafe tributaria del 1.9.2015, nonché la documentazione della Agenzia delle Entrate riportante l’esposizione debitoria al 11.2.2016. All’esito di tali ulteriori indagini è emerso che l’ingente esposizione debitoria maturata dall’anno di imposta 2007 al 2010 è pari a euro 2.568.641, e soprattutto che tali debiti, “consolidati”, sono stati già oggetto di piano di rateizzo, il quale però non è stato onorato dalla società a causa di pagamenti irregolari, così decadendo dal piano concordato e confermando l’inadempimento. Tale ultima circostanza è dirimente, in quanto non solo la società, per la sua incapacità patrimoniale, ha dovuto chiedere il rateizzo dei pagamenti, ma poi ha effettuato pagamenti irregolari decadendo dalla rateizzazione, così dimostrando in modo inconfutabile la propria incapacità patrimoniale a far fronte al debito tributario. A fronte di tali considerazioni non è discutibile l’incapacità patrimoniale della società, e quindi il difetto del requisito di solidità economica previsto dalla norma esaminata e ritenuto dall’Amministrazione procedente.
Alla luce di tale dirimente rilievo, il Collegio ad abundantiam evidenzia che neppure sono convincenti gli argomenti di parte ricorrente secondo cui, a dispetto delle suesposte emergenze, sussisterebbe la contestata capacità economica comprovata dalle documentate referenze bancarie. In primo luogo parte ricorrente non spiega come mai abbia maturato un’esposizione dall’anno di imposta 2007 al 2010 pari a euro 2.568.641 e come mai, a fronte della asserita capacità finanziaria, fino alla data del provvedimento impugnato non sia riuscita a estinguere il debito, decadendo addirittura dal piano di rateizzo per pagamenti irregolari; in secondo luogo non sono convincenti gli elementi richiamati per dimostrare la sussistenza dell’attivo sufficiente, in quanto l’attivo circolante su cui fa leva la relazione del dott. Caliendo prodotta da parte ricorrente, pari ad euro 2.665.477,00, è composto da crediti verso terzi, di cui evidentemente non è certa la recuperabilità nell’an, nel quando e nel quantum (e infatti il debito verso il Fisco fin dal 2007 non è stato estinto), mentre il capitale sociale versato, che assicurerebbe il pronto soddisfacimento dei creditori, è pari ad appena euro 150.000, laddove le referenze bancarie sono state evidentemente insufficienti in quanto non hanno impedito alla società, che non disponeva della provvista necessaria all’estinzione delle obbligazioni che venivano a scadenza, di decadere dal piano di rateizzo del debito fiscale.
Quindi il motivo di ricorso relative alla capacità economica è infondato.
4. Poiché solo uno dei due motivi su cui si fonda il diniego dell’autorizzazione è risultato basato su erronee valutazioni della Prefettura, mentre l’altro motivo, relativo alla solidità economica, è risultato immune dalle censure di parte ricorrente, il Collegio deve respingere il ricorso resistendo il provvedimento impugnato, plurimotivato, quantomeno ad una delle sollevate censure.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - NAPOLI (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente, liquidate in euro 1.500,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2021 tenuta da remoto con modalità Microsoft Teams con l'intervento dei magistrati:
Maria Abbruzzese, Presidente
Diana Caminiti, Consigliere
Fabio Di Lorenzo, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Di Lorenzo Maria Abbruzzese
IL SEGRETARIO