REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE II LAVORO
Il Giudice, dott.ssa Laura Cerroni, all'esito della camera di consiglio del 2 febbraio 2023 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella controversia iscritta al n. 20615/2021 R.G.
TRA
M.D., rappresentato e difeso dagli Avvocati Alessandro Borghesi e Francesco Vergerio di Cesana, per procura allegata al ricorso,
RICORRENTE
E
I.V.U. S.p.A., rappresentata e difesa dagli Avvocati Arturo Maresca e Marco Conti, per procura allegata alla memoria di costituzione,
RESISTENTE
OGGETTO: opposizione ai sensi dell'art. 1, comma 51, della L. n. 92 del 2012 all'ordinanza n. 38763/2019 RG, emessa dal Tribunale di Roma il 24/6/2021, ai sensi dell'art. 1, comma 49, della L. n. 92 del 2012.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto di ricorso tempestivamente depositato in forma telematica in data 26/7/2021 il ricorrente in epigrafe proponeva opposizione avverso l'ordinanza in oggetto, emessa dal Tribunale di Roma il 24/6/2021, di rigetto della impugnativa del licenziamento intimatogli dalla società convenuta, per preteso giustificato motivo oggettivo a seguito di cambio appalto, con richiesta di tutela reale.
A sostegno della opposizione, il ricorrente, premesso di essere stato assunto sin dall'anno 2012 alle dipendenze dell'I.D.V.D. S.p.a., deduceva di essere stato da ultimo impiegato quale guardia particolare durata, presso vari appalti, tra i quali, ma in misura non prevalente, quello presso l'Inps Direzione Generale, perduto a seguito di nuova gara in favore della nuova aggiudicataria S.S. S.r.l., con decorrenza, dopo un contenzioso amministrativo, dall'1/4/2019.
Tanto premesso, il ricorrente deduceva l'insussistenza dei due presupposti fattuali dell'ordinanza impugnata, individuati nel proprio rifiuto alla ricollocazione presso S.S. S.r.l., nonché nell'assenza di posizioni libere in I. di V.D. S.p.A., sicché concludendo con richiesta di accoglimento dell'impugnativa di licenziamento, con ogni conseguenza risarcitoria, ai sensi di legge.
Solo in via subordinata, per il caso della mancata reintegrazione nel posto di lavoro, il ricorrente domandava la condanna del datore di lavoro alla corresponsione delle competenze di chiusura del rapporto, oltre accessori, come per legge.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio l'I. di V.D. S.p.a., insistendo per la legittimità dell'atto di recesso e per la conferma dell'ordinanza impugnata, sicché concludendo per il rigetto dell'opposizione, con vittoria di spese.
Fallito il tentativo di conciliazione, la controversia veniva istruita mediante l'acquisizione del fascicolo della precedente fase sommaria, nonché della documentazione versata in atti dalle parti a corredo degli scritti difensivi ed, anche, con prova orale.
Sostituito il giudice precedente assegnatario per suo impedimento, autorizzato il deposito di note conclusionali e disposta contestualmente con decreto, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera b), n. 7), del D.L. n. 125 del 2020, la sostituzione della odierna udienza di discussione con lo scambio di note scritte, a cagione della emergenza sanitaria nazionale per il rischio di contagio da Covid-19, lette le note di discussione depositate dalle parti, la controversia veniva assunta nella odierna camera di consiglio e decisa.
Così ricostruito l'iter procedimentale, in via preliminare deve respingersi l'eccezione di inammissibilità del ricorso per decadenza dal termine di impugnazione, poiché l'ordinanza di rigetto, datata 24/6/2021, è stata comunicata ai difensori delle parti il 25/6/2021, mentre l'atto introduttivo del giudizio è stato depositato lunedì 26/7/2021, sicché entro il termine ultimo consentito dalla legge.
Nel merito, l'opposizione non è fondata.
Occorre premettere che costituisce principio interpretativo del tutto assodato in giurisprudenza quello secondo cui la regola dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, operando come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata e la validità dell'atto di recesso, ha carattere generale, e vale quindi per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di lavoro (cfr., per tutte, Cass., Sez. L, n. 18283 del 13.08.2009).
È soltanto alla luce della causale indicata nella lettera di recesso che, pertanto, va affrontata la legittimità o meno dell'atto espulsivo, non potendo trovare ingresso, al fine di sorreggere il provvedimento datoriale, circostanze diverse.
Nel caso in esame, con comunicazione del 15/3/2019, successivamente differita in ragione del contenzioso in corso, la società resistente ha intimato all'odierno ricorrente licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rappresentandogli, testualmente, quanto segue:
"Con la presente, si comunica la risoluzione del Suo rapporto di lavoro a causa della cessazione dei servizi di vigilanza presso l'Inps Direzione Generale, ove Lei è assegnato con prevalenza, con conseguente soppressione dei relativi posti di lavoro, a seguito del cambio di appalto e dell'assegnazione dei predetti servizi alla S.S. S.r.l. a partire presumibilmente dal 1 Aprile 2019.
Ed infatti, si precisa che l'adottato recesso - come a Lei ben noto - si riferisce alla perdita dell'appalto suindicato a seguito dell'assegnazione dello stesso alla S.S. S.r.l. e, pertanto, viene adottato nell'ambito della procedura di cambio appalto prevista dal CCNL ed attivata dalla odierna deducente, sulla cui base è stato siglato in data 28/02/2019 in sede E. un accordo in cui la S.S. S.r.l. (subentrante nel servizio di appalto) si è obbligata ad assumere le unità stabilmente addette presso il servizio in questione, tra cui Lei, con Sua immediata ricollocazione presso l'appaltatrice subentrante con decorrenza presumibilmente dal 1 Aprile 2019.
Le evidenziamo altresì che - a seguito della modifica all'art. 7, comma 6, L. n. 604 del 1966, per effetto dell'art. 7, comma 4, del D.L. n. 76 del 2013, convertito in L. n. 99 del 2013 - non è più previsto l'esperimento della procedura innanzi all'Ispettorato Territoriale del Lavoro in caso di licenziamento per cambio d'appalto ove alla risoluzione del rapporto segua l'assunzione presso altro datore di lavoro in applicazione di clausole sociali dei contratti collettivi nazionali di lavoro che garantiscono la continuità occupazionale, come chiaramente avvenuto nel caso di specie sulla base di quanto innanzi esposto essendosi obbligata l'impresa subentrante ad una Sua immediata ricollocazione.
D'altro canto, la scrivente Società non ha altre posizioni o servizi su cui attualmente poterla ricollocare proficuamente.
Per tutti i motivi ed i profili innanzi indicati, la S. Società, con la presente, Le comunica il recesso dal rapporto di lavoro con effetto dal 1 aprile 2019; la presente vale altresì ai fini del preavviso dovuto dal CCNL di categoria per il suo livello di inquadramento.
La invitiamo, inoltre, a restituirci a breve i titoli di polizia, la divisa e quant'altro consegnatoLe all'atto dell'assunzione.
Nei tempi tecnici Le saranno corrisposte tutte le spettanze di fine rapporto e il TFR". (documento n. 6 della memoria di costituzione nella fase sommaria).
Quello intimato da I. S.p.a. si configura, senza dubbio alcuno, come un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in esito a procedura di cambio appalto.
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, è bene, in primo luogo, ribadire che "compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. - il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto" (Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 7474 del 14/05/2012).
Invero, il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, "senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato" (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 24235 del 30/11/2010).
In ogni caso, le ragioni poste a fondamento del licenziamento, sia che si traducano in una soppressione del reparto o dell'attività cui era addetto il lavoratore, sia che siano motivate da un riassetto organizzativo per una più razionale ed economica gestione dell'azienda - anche finalizzata all'incremento degli utili -, comportano, comunque, che il datore di lavoro sia tenuto a provare, oltre l'obiettivo verificarsi della situazione dedotta, anche l'incidenza causale sulla posizione rivestita in azienda dal lavoratore, eventualmente sotto il profilo dell'impossibilità di utilizzare altrimenti il suo impegno lavorativo.
Cosicché, infine, nel giudizio di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, grava sul datore di lavoro l'onere di provare la soppressione del posto al quale il lavoratore era addetto e l'impossibilità di ricollocarlo nell'ambito della struttura aziendale con mansioni compatibili con la qualifica rivestita (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 21514 del 22/10/2015).
Ancor più di recente, poi, la Corte di Legittimità, approfondendo il tema di indagine, ha affermato che "è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell'art. 41 Cost.; ove, però, il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta" (cfr. Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 10699 del 03/05/2017).
Quanto, poi, specificamente, per le ipotesi di licenziamento a seguito di cessazione di un appalto, la Suprema Corte di Cassazione ha condivisibilmente affermato che: "È legittimo il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, intimato da parte della società aggiudicataria a seguito della cessazione di un appalto ove essa - ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di repêchage - dimostri che, al tempo del recesso, non residuava alcuna ulteriore possibilità di impiego" (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 8973 del 11/4/2018).
Invero, la cessazione dell'appalto ben può costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il quale, pur non essendo atto dovuto, rientra nella facoltà del datore di lavoro perdente l'appalto, ove non abbia la possibilità di utilizzare diversamente la risorsa.
Tanto che, ancora di recente, la Suprema Corte ha affermato che: "In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando la ragione del recesso consiste nella soppressione di uno specifico servizio legato alla cessazione di un appalto e non si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, il nesso causale tra detta ragione e la soppressione del posto di lavoro è idoneo di per sé a individuare il personale da licenziare, senza che si renda necessaria la comparazione con altri lavoratori dell'azienda e l'applicazione dei criteri previsti dall'art. 5, L. n. 223 del 1991" (cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n. 25653 del 27/10/2017).
Nel caso in esame, non è revocabile in dubbio che quello intimato dalla società odierna resistente sia un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivato dalla perdita dell'appalto presso l'Inps Direzione Generale, come espressamente indicato nella lettera di recesso ed, altresì, agevolmente evincibile dal richiamo all'accordo siglato in sede E. il 28/2/2019, nonché all'obbligazione assunta dalla società subentrante S.S. S.r.l. di assorbire il personale stabilmente impiegato nell'appalto, tra cui il ricorrente, nonché alla non necessarietà della procedura conciliativa, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, della L. n. 604 del 1966, come modificato dall'articolo 7, comma 4, del D.L. n. 76 del 2013, convertito in L. n. 99 del 2013.
Invero, l'articolo 25 del C.C.N.L. Vigilanza Privata prevede espressamente una c.d. "clausola sociale" per la tutela dei livelli occupazionali nella ipotesi, non infrequente nel settore, di cambio appalto, stabilendo che "In ogni caso di cessazione di appalto o affidamento di servizio (…) con subentro da parte di altro Istituto di vigilanza (…) l'istituto uscente ove ne abbia interesse darà comunicazione, ove possibile almeno trenta giorni prima della cessazione dell'appalto, o diversamente con la massima tempestività, alle segreterie provinciali delle OO.SS. firmatarie, alle RSA/RSU alla Prefettura presso fa quale ha sede legale l'istituto di vigilanza uscente, alla Questura/e della/e provincia/e presso le quali li servizio/i viene/vengono svolti ed all'Istituto subentrante fornendo:
1) l'elenco dei nominativi, livelli di inquadramento e anzianità lavorativa del personale già impiegato in via esclusiva o prevalente nell'appalto da più lungo tempo e comunque da non meno dei sei mesi precedenti a quello della comunicazione. Per i lavoratori a tempo determinato andrà specificata anche la data di scadenza del contratto.
2) il codice fiscale dei lavoratori interessati;
3) il monte ore di servizio previste dall'appalto".
Ove in tal modo attivata la procedura, il successivo articolo 27, comma 1, prevede che: "L'Istituto subentrante nell'appalto e/o nell'affidamento del servizio, procederà all'assunzione con passaggio diretto ed immediato, senza periodo di prova del personale impiegato nel servizio (…) con decorrenza dal giorno successivo alla scadenza dell'appalto (…)".
In esatto adempimento del procedimento previsto dalla contrattazione sociale è documentato in atti che l'odierna resistente abbia attivato la procedura di cambio appalto con comunicazione all'E. del 5/12/2018 (documento n. 2 della memoria di costituzione nella fase sommaria), ad essa allegando l'elenco delle - iniziali - n. 100 guardie particolari giurate stabilmente impiegate nell'appalto, secondo i criteri stabiliti dagli articoli 24 e seguenti del vigente C.C.N.L. (documento n. 4 della memoria di costituzione nella fase sommaria).
Tra di essi figura il nome dell'odierno ricorrente, il quale, poi, faceva indubbiamente parte delle n. 92 guardie particolari giurate - così ridottone il numero - che, in esito all'Acc. del 28 febbraio 2019, la subentrante S.S. S.r.l. si è impegnata ad assumere (documento n. 5 della memoria di costituzione nella fase sommaria).
Contestando il dato, il ricorrente ha dedotto di non possedere il requisito della stabile applicazione sull'appalto, avendovi lavorato unicamente per n. 73 giornate nei 6 mesi antecedenti la sua cessazione.
Il dato non è corretto.
Analizzando il documento contenente l'elenco dei servizi svolti dall'odierno ricorrente dal gennaio 2018 al giugno 2019, prodotto da parte resistente e non contestato (documento n. 1 della memoria di costituzione nella fase sommaria), si apprende che nel semestre da gennaio a giugno 2019 egli ha, sì, effettuato solo 73 giornate di lavoro presso l'appalto Inps Direzione Generale, ma su un totale, tuttavia, di sole n. 96 giornate complessive di lavoro, essendo stato frequentemente assente per malattia, per turno di riposo o per altre ragioni.
Il parametro di valutazione della prevalenza di applicazione sull'appalto è stato interpretato, anche nelle controversie sottoposte all'esame di questo Tribunale, secondo criteri difformi, che conducono a risultati talvolta contrastanti, da una parte, secondo un criterio di prevalenza "comparativa", sicché con riferimento al maggior orario di lavoro prestato dal lavoratore in relazione agli altri appalti di sua adibizione; dall'altra, secondo un criterio "assoluto", sicché parametrato ad valore minimo di almeno il 50% delle giornate effettivamente lavorate, nel semestre antecedente la cessione.
Nel caso in esame, tuttavia, sulla scorta dei dati prodotti e non contestati, M. risulta prevalentemente applicato sull'appalto Inps Direzione Generale secondo entrambi i metodi di calcolo, sicché, contrariamente a quanto dedotto in ricorso e conformemente, piuttosto, a quanto già ritenuto dal giudice della precedente fase sommaria, non può che confermarsi la sua prevalente applicazione sull'appalto cessato.
Ciò esime da censure il motivo di licenziamento addotto dalla resistente I. S.p.A., per essere la causale indicata corrispondente al vero, sicché non solo al fatto storico - documentato e non contestato - della perdita dell'appalto presso Inps Direzione Generale, ma anche all'obbligazione assunta dalla S.S. S.r.l. di assumere con passaggio diretto, tra gli altri specificamente, l'odierno ricorrente, in adempimento della clausola sociale.
Accertata la legittimità del recesso intimato all'odierno ricorrente, incluso nell'elenco delle n. 92 GPG da assumersi alle dipendenze della S.S. S.r.l., è agevole osservare che, nel corso del presente giudizio di merito, la società abbia, nondimeno, dimostrato di essere stata impossibilitata a ricollocarlo alle proprie dipendenze, in diverso appalto.
Invero, i testimoni A.F. e G.C. -rispettivamente il primo addetto all'Ufficio di Programmazione dei Servizi delle GPG ed il secondo già Direttore delle Risorse Umane, poi Direttore Generale - hanno confermato i numerosi appalti cessati in quegli anni, come dedotti in memoria.
D'altro canto, le dichiarazioni del teste S.M. - in ordine alla possibilità di ricollocamento del ricorrente - sono del tutto generiche, avendo egli, di fatto, affermato "c'era posto ma non so perché", sulla sola scorta di una propria personale valutazione, frutto della mera circostanza che egli personalmente fosse variamente applicato su più appalti, prima del licenziamento, alcuni peraltro successivamente cessati.
Invero, è dedotto e non contestato che la società resistente abbia cessato, negli anni 2018-2019, oltre a quello presso Inps Direzione Generale, altresì gli appalti di vigilanza armata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, le sedi territoriali dell'INPS, il Parco Archeologico del Colosseo, la A.R., T. S.p.A. e l'Ambasciata di Germania; nonché, successivamente, nel gennaio 2020, presso D. S.p.A. ed E. S.p.A..
Alla data del 15/3/2019, di intimazione del licenziamento, è pertanto confermato che tutte le posizioni di GPG fossero coperte da personale stabilmente impiegato negli appalti oppure da personale ricollocato da appalti cessati.
Peraltro, la parte resistente ha documentato di avere presentato in data 31/12/2019 ricorso per l'ammissione al concordato preventivo, in relazione alle proprie notevoli difficoltà economiche, (documento n. 9 della memoria di costituzione nella fase sommaria) e che con Provv. del 25 novembre 2021 questo Tribunale, Sezione Fallimentare, ha omologato il concordato preventivo in continuità aziendale (documento n. 13 della memoria di costituzione nella fase sommaria).
Al motivo della perdita dell'appalto presso l'Inps Direzione Generale, nel quale il ricorrente era prevalentemente applicato, nonché di numerosi altri, in concomitanza, tutti già saturi, si aggiunge, pertanto, l'ulteriore significativo dato delle difficoltà finanziarie della società, comprovato dalla richiesta di ammissione al concordato preventivo.
Del tutto correttamente, pertanto, la società resistente, preso atto che l'odierno ricorrente rientrava nell'elenco del personale da assumersi con passaggio diretto alle dipendenze della nuova appaltatrice, gli ha intimato licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivato dal cambio appalto e dalla prevista nuova assunzione, anche deducendo l'impossibilità di ricollocazione alle proprie dipendenze in altri appalti ed evidenziando la non necessarietà della procedura di conciliazione legale.
Tanto osservato, non può condividersi il rilievo della pretesa violazione dell'obbligo di repechage, avendo, piuttosto, la parte resistente dedotto e documentato di avere cessato numerosi appalti nel periodo di riferimento e che i residui, in essere da anni, erano tutti saturi.
Del tutto irrilevante appare, pertanto, la circostanza della avvenuta riassunzione di tre lavoratori, licenziati solo per errore, in quanto erroneamente inseriti nell'elenco del personale da assumersi alle dipendenze della nuova appaltatrice, nonostante in carenza del requisito di prevalente applicazione sull'appalto, invece, come dimostrato, posseduto dal ricorrente.
Non si tratta, invero, di nuove assunzioni, che dimostrerebbero la vacanza di posti in organico, bensì del rimedio posto dalla società a licenziamenti disposti per errore, nei confronti di personale non assorbibile dalla nuova aggiudicataria.
Infine, non si riscontra alcuna violazione delle prescrizioni di cui all'articolo 7, comma 6, della L. n. 604 del 1966, come modificato dall'articolo 7, comma 4, del D.L. n. 76 del 2013, convertito nella L. n. 99 del 2013, poiché, in presenza della obbligazione assunta dalla subentrante S.S. S.r.l. di procedere all'assunzione dell'odierno ricorrente, facente parte dell'elenco delle n. 92 GPG in possesso dei requisiti per l'applicazione della clausola sociale, del tutto correttamente l'impresa u.I. S.p.A. era esonerata dall'attivazione della procedura conciliativa ex lege, per espressa deroga normativa.
Conclusivamente, pertanto, essendo il licenziamento intimato dalla I.D.V.D. S.p.A. risultato esente da censure, l'opposizione deve essere respinta, con integrale conferma della ordinanza impugnata.
Non v'è luogo all'esame della domanda subordinata, di attribuzione al ricorrente delle competenze di chiusura del rapporto, in quanto non oggetto del presente giudizio, essendo stata trattenuta dal giudice della precedente fase sommaria per la decisione nel giudizio separato ex articolo 414 c.p.c..
Le spese di lite vanno liquidate come in dispositivo alla luce della regola generale sulla soccombenza, in ossequio ai parametri indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 147 del 2022, in vigore dal 23/10/2022, con riguardo allo scaglione di valore della causa.
P.Q.M.
Lette le note di discussione scritta, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 3.000, oltre rimborso forfettario spese generali, i.v.a. e c.p.a., come per legge.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2023.
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.